Venerdì 26 febbraio il Brianza Wine Club è riuscito ancora a stupire, portando un po’ di Sud in una serata brianzola fredda e piovosa. Merito di due ospiti di eccezione, Paola Riccio, produttrice e proprietaria della cantina Alepa, e Raffaele Pagano, dell’azienda agricola Joaquin, che hanno guidato la degustazione dedicata ai vini “bianchi, buoni e campani” ospitata dal ristorante Il Dollaro di Capriano di Briosco. Un’occasione per raccontare, oltre ai vini, la terra che li fa nascere e la passione di chi è innamorato del proprio lavoro. Lo stesso Pagano non nasconde l’entusiasmo: «Con Luca (Dell’Orto, presidente del BWC, ndr) è stato amore a prima vista, e stasera non potevo mancare! Il Brianza Wine Club è qualcosa di anormale in Italia: sembra una piccola associazione messa in piedi per passare qualche serata, ma dietro c’è un lavoro pazzesco».
Un riconoscimento importante, condiviso anche da Paola Riccio. La proprietaria di Alepa ha fatto dimenticare a tutti l’inverno con solo qualche assaggio di pallagrello, un vitigno autoctono che, racconta con emozione, cresce nel territorio di Caiazzo, nel Casertano, e che ha presentato lavorato in acciaio, nella versione Riccio Bianco, e in botti di rovere e castagno, come nel caso di un Maria Carolina della caldissima annata 2011. Legato sin dal nome alla Campania (fa riferimento a Maria Carolina d’Asburgo Lorena, figlia di Maria Teresa d’Austria, che sposò Ferdinando IV di Borbone), il Maria Carolina, dolce ma non dolcissimo, è prima di tutto un omaggio a una donna forte e volitiva: «Una scintilla democratica ed illuminista nell’impianto aragonese» la racconta Riccio. Tra donne di carattere, in fondo, ci si capisce. Riccio ha presentato, tra gli altri, anche Privo, un vino senza solfiti aggiunti e dagli aromi sorprendenti: «Ci siamo spinti ancora più avanti nella filosofia dell’agricoltura sostenibile – racconta -: il Privo è frutto di una vinificazione totalmente naturale, a partire da estratti di vinacciolo, non aggiungiamo nemmeno l’anidride solforosa. È un vino da aperitivo, che sembra leggero ma che fa in realtà 15° alcolici: sa di rabarbaro e vermouth e ricorda anche certe birre, come le weiss».
Se Riccio ha parlato con dolcezza della propria terra, Pagano ha scelto l’ironia per raccontare la sua Irpinia. «L’irpino non parla e non è neppure mediterraneo: è un balcanico con una mentalità da abruzzese, a 2000 m d’altezza – riassume Pagano con piglio da cabarettista -. Nel bicchiere, questo si traduce in segretezza e tradizione: i metodi vengono tramandati ma non divulgati. Gli irpini sono persone che non rispondono neanche al telefono, proprio come i francesi della Borgogna… un incubo!». Pagano ne ride e se ne vanta: perché è questa terra che riesce a creare un rapporto unico e memorabile tra uomo, pianta e prodotto. E non è tutto: «Facciamo vino in Irpinia e ad Anacapri, dove dovrebbero esserci le peggiori condizioni possibili – prosegue Pagano -: roccia calcarea, terreno di riporto, piante vecchie. La realtà è che in questa coltura (15 ettari vitati su tutta l’isola) è il suolo che comanda. Ed il vino è sempre uguale, chiunque lo faccia: tutto merito del terreno». Come nel Dall’Isola, speziato, minerale e duro già dal naso: «la tensione che si sente nel bicchiere è come il sorriso ad un primo appuntamento». Pagano, insomma, fa il burbero ma sotto sotto è un romanticone.
Altrimenti non parlerebbe così, con tenerezza e orgoglio, di vini che secondo Bibenda sono «un privilegio degustare, perché sono ogni volta una sfida per i sensi e per l’intelligenza di chi li beve». E non si prenderebbe gioco del marketing con così tanto gusto: è proprio grazie ai suoi vini, al di là di qualsiasi classifica, che Pagano può permettersi di non seguire le regole: «Siamo bravi a non farci ricordare per i nomi dei vini – dice parlando del Vino della stella, con l’orgoglio del contadino che conosce ogni centimetro della propria terra -, perché sappiamo che non ci si può ripetere».
Insomma, un paio d’ore dopo l’inizio della degustazione, persino i brianzoli doc cominciano a sentirsi un po’ terroni nell’animo. Sarà forse merito degli ultimi tre specialissimi vini di Joaquin: Oyster e Ostrica, quest’ultimo presentato in anteprima per la Lombardia, e il Fiano Piante a Lapio, degna conclusione di un percorso di sapori unico al mondo.
Giulia Santambrogio